L'
argomento del quale vorrei trattare prende spunto dal giugno 1824,
ossia da quando lo Champollion giunse a Torino2.
Invitato dagli accademici Ludovico Costa e
Costanzo Gazzera3
, per quanto mi riguarda, in relazione cioè alla sfera papirologica,
avvenne durante questo soggiorno un fatto importante.
E cioè l'incontro con l'abate Amedeo Peyron (vedi Fig. 1), dal 1815 professore di lingue orientali
all'Università di Torino, che creerà un sodalizio intellettuale eccezionale,
tanto che i due studiosi si influenzeranno a vicenda come vedremo fra poco soprattutto
per quanto riguarda i rispettivi percorsi papirologici.
In principio l'arrivo dello Champollion destò in Peyron (di cinque anni più vecchio)
sentimenti contrastanti, perchè arrivava come lo scopritore di qualcosa che lui aveva sotto
gli occhi e non era in grado di leggere; ma durante il soggiorno dello studioso francese,
che fra l'altro durò fino ai primi mesi del 1825, il forte interesse verso la ricerca del Peyron
ed il suo dichiarato apprezzamento per le prime intuizioni sui geroglifici,
fece nascere fra i due un rapporto di stima sincero, cosa che non sempre avviene fra gli studiosi.
In seguito fu proprio il Peyron a scrivere la lettera di raccomandazione al cardinale Angelo Mai4,
prefetto della biblioteca Apostolica Vaticana, che consentì allo Champollion di recarsi
a Roma per studiare i papiri della biblioteca Vaticana.
E a Roma lo Champollion comporrà il Catalogo de' Papiri Egiziani della Biblioteca Vaticana,
che verrà dato alle stampe nello stesso 1825. Papiri in scrittura geroglifica, ieratica e demotica,
che il Mai nell'introduzione definirà “prima d'ora totalmente enimmatici quanto alle
copiose scritture di cui sono ingombri, e molto incerti eziandio quanto alle figurate
rappresentazioni che li adornano5”.
Ma come avevano fatto a giungere a Roma questi papiri? Leggendo a pag. V dell'introduzione,
c'è una nota “Al cortese lettore” che chiarisce un po' l'argomento: negli ultimi anni del
pontificato di Pio VII, ed i primi di Leone XII (così si contavano gli anni in Vaticano),
cioè l'inizio degli anni '20 dell'Ottocento, il missionario Padre Angelo da Pofi aveva riportato
dall'Egitto i primi rotoli; un secondo lotto venne donato dal “poliedrico” viaggiatore
ed archeologo padovano Giovanbattista Belzoni: alto più di due metri, aveva com'è noto iniziato
il suo peregrinare per il mondo esibendosi nei circhi! La sua figura è stata da qualche anno
riabilitata facendone uno dei protagonisti della stagione “romantica” dell'egittologia.
In questa pagina troviamo anche un interessantissimo riferimento alla conservazione dei papiri,
per come avveniva allora, cioè in “speciosi quadri, con cartoni e sete e cornici dorate e
cristalli, entro cui questi avanzi nilotici si rinchiusero”, che fra l'altro se ci pensiamo
non differisce molto da come li conserviamo oggi.
Oggi i papiri vengono conservati (o dovrebbero, perchè non sempre è così) in luogo asciutto
tra due lastre di vetro, unite per i lati da nastro adesivo cartaceo,
avendo cura di lasciare liberi gli angoli, in modo da garantire un minimo ricambio d'aria
e non trattenere eventuale umidità interna: ecco ricreato esattamente il clima che troviamo in Egitto.
E' per questo che in Egitto e in pochissime altre zone si sono conservati per migliaia di
anni questi materiali. Chi scrive ha restaurato papiri di scavo6,
che possono essere rinvenuti più raramente in una tomba, ma più semplicemente sotto
la sabbia tra le rovine di un antico edificio o ai margini del sito archeologico
(dove si trovavano le discariche).
Torniamo ai papiri della Biblioteca Vaticana, in particolare a quello menzionato nel titolo7,
laddove si parlava di “Notizia più estesa di uno d'essi”.
Riporto qui, corredate
dalle illustrazioni, le parole dello stesso Champollion (a pag. 4 e seg. del Catalogo),
“veicolate” dal Mai8:
"Consiste il papiro 1: in tre pagine di testo (Vedi Fig. 2a),
ciascuna sormontata da una pittura a tratti semplici: e queste figure,
le quali secondo il metodo egizio sembrano più tosto scritte che disegnate, non sono
rivestite di alcun colore. 2: in un maggiore quadro finale (Vedi Fig. 2b), parimenti non
colorito, che si estende a tutta l'altezza del papiro.
Il gerogrammata - lo chiama così - autore di questo scritto ha fatto uso
delle due principali maniere di scrittura egiziana. Il testo delle tre pagine è una
scrittura geratica, scrittura cioè propria della classe sacerdotale, come il greco
vocabolo indica, classe addetta a scrivere con ispedita perizia i libri spettanti a
religiose materie.
Ma le leggende, che accompagnano quasi tutte le figure del maggior
quadro finale sono in scrittura geroglifica, che è la più antica delle maniere grafiche
praticate in Egitto.
La scrittura geratica, che è sempre distesa in righe orizzontali
procedenti da destra a sinistra, non fu punto altro che una semplice tachigrafia della
scrittura geroglifica..., e dopo alcune considerazioni dottrinali e paleografiche che omettiamo,
si arriva - ai segni di cui compongonsi le tre pagine del papiro, di cui ora ragioniamo.
La piccola pittura disegnata in cima alla prima pagina di questo manoscritto…
- da destra verso sinistra - rappresenta la persona defunta, per cui il papiro fu scritto,
inginocchiata, tenente nella sinistra mano uno di que' piccoli vasi, che tanto spesso si
incontrano fra gli amuleti recati di Egitto, in ematite, in basalto, in terra smaltata,
o in qualunque altra materia, sempre però di piccolissima dimensione.
Questo vaso è l'emblema delle colpe, che il defunto commise in terra; e con esso si accenna
lo sperimento del giudizio che il defunto va tosto a subire. Intanto questi dirige le sue
preghiere a una divinità figurata sotto l'apparenza di uno sparviere con testa umana.
Dessa è la forma particolarmente del Dio che regolava i destini delle anime, quand'esse i
corpi mortali abbandonavano...
Il testo seguente, ed il dipinto che lo accompagna, appartengono alla medesima sezione
del rituale funebre... il defunto in piedi e con braccia sollevate dirige una preghiera
all'emblema assai cognito della paternità e della generazione, cioè allo scarabeo sacro...
Le prime sei righe (del testo) riguardano inanzi il passaggio dell'anima del defunto
Nesimandu alle regioni celesti sottoposte alla reggenza di Neit, la gran madre divina
(riga 2); ed anche si riferiscono a diversi Dei generatori (riga 5), e ad Osiri
una delle potenze della regione inferiore.
Tosto (riga 6) incomincia una gran preghiera al medesimo Osiri, che vi si dice vendicatore
dell'Egitto...
Di questo papiro nell'ultima pagina... troviamo rappresentata l'anima del defunto,
che abbandona l'una delle regioni celesti conducendo la barca sacra della luna e del sole...
Si suppone che l'anima abbandoni questa stanza per attraversare nella barca di Frè e del
dio Benno (riga 2) la grande regione celeste detta Aten-Re (riga 3). Evvi l'invocazione a
queste due divinità..."
Per quanto riguarda gli altri papiri descritti nel Catalogo, lo Champollion prende
in esame tutti e 15 i grandi quadri in cui essi erano disposti nella Biblioteca;
dopo averci informato sul tipo di scrittura, ci dà come si fa oggi le dimensioni,
lunghezza e altezza9, fornisce indicazioni paleografiche e fa un elenco numerato di
quello che ogni papiro contiene (adorazioni, cerimonie, purificazioni, preghiere etc.).
Nel caso di quadri particolarmente articolati come il XII, procura una descrizione di
tutti i Manoscritti10, attribuendo a ognuno una lettera, in questo caso dalla A alla H,
attraverso un criterio rigorosamente scientifico.
In tutto quello che ho potuto vedere e leggere in questo Catalogo, dalle notizie circa
l'acquisizione dei materiali, alle menzioni circa il loro restauro e conservazione,
infine a come vengono descritti gli stessi papiri, ho potuto trovare espressi principi e
metodi applicati ancora oggi nella moderna Papirologia.
Dunque, riassumendo, questo era quello che lo Champollion era riuscito a fare a Roma
in pochi mesi di lavoro, certo come si è visto è un catalogo, non esente da imprecisioni,
l'edizione vera e propria sarà fatta successivamente; però i papiri non sono più muti come prima,
ma cominciano a rivelare il loro contenuto.
Nel frattempo, per concludere, torniamo nella capitale del Regno Sabaudo. A Torino i papiri tolemaici
della collezione Drovetti vengono per la prima volta pubblicati da A. Peyron
(forse su incitamento dello stesso Champollion), si tratta dei Papyri Taurinenses11,
editi in due parti una nel 1826 e una nel 1827; sono documenti come dicevo prima del periodo tolemaico,
di argomento legale, uno dei quali suscitò addirittura l’interesse di Giacomo Leopardi,
che vi dedicò una serie di brevi riflessioni12.
E’ il primo documento, scritto in greco,
risalente al II sec. a.C., che ci restituisce gli atti del processo di Hermias, riguardanti
la lunga lite tra questo ufficiale di fanteria e Horos con i suoi colleghi Choachiti,
per la proprietà di una casa sita in Tebe13.
Che dire, di lì a qualche tempo in tutta Europa gli studi progredirono e
l'esempio romano-torinese venne preso a modello nella pubblicazione tanto dei nuovi materiali
rappresentati dai papiri, quanto delle opere d'arte che già si trovavano nei musei.
Alla fine di questa stagione particolarmente felice e feconda culturalmente, la collaborazione
fra studiosi, l'onestà intellettuale, le sottilissime aggiungerei barriere burocratiche
avevano fatto nascere una nuova scienza: la Papirologia!