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Rosario Pintaudi
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Anna Di Giglio
 

 

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Inimicitia Papyrologorum - G.M.

 


G.M.





 

 

   M i trovo oggi, a malincuore, costretto a rompere il silenzio. Non lo faccio per vanità, né per desiderio di replica sterile. Lo faccio per amore della verità. Lo faccio per rispetto verso una disciplina che ho servito per tutta la vita, con passione, sacrificio e dedizione integrale. E lo faccio perché non posso più tollerare che l’ingratitudine, la meschinità e la falsificazione della memoria accademica continuino a camminare impunite sulle spalle degli uomini e delle donne che questa disciplina l’hanno fondata, sostenuta e nutrita. Mi rivolgo a te, e lo faccio con la franchezza che mi è propria.

  Mi rivolgo a te non perché tu sia l'unica a portare il peso della deriva morale che ha infettato le nostre istituzioni universitarie, ma perché sei divenuta, tuo malgrado o tuo disegno, simbolo esatto di una certa degenerazione: quella dello studioso che sale in cattedra calpestando le mani di chi l’ha sostenuto, dell’intellettuale che rinnega le sue origini, del collega che si fa scudo del potere accademico per rimuovere ogni traccia di debito intellettuale. Hai avuto l’ardire – o meglio, l’infelice leggerezza – di definirmi dannoso per l'immagine della papirologia in Italia. Tu. Proprio tu. La stessa persona che ho invitato, incoraggiato, sostenuto, in ogni fase della sua carriera. La stessa che ho fatto salire sulle mie navi editoriali permettendoti visibilità, contatti, spazi, occasioni. Tu, che all’inizio degli anni Novanta faticavi a trovare un posto in cui contare, e che grazie alla mia insistenza hai potuto presentare interventi nei convegni, curare volumi, accedere a fondi e istituzioni che, altrimenti, ti sarebbero rimasti preclusi.

  Chi eri prima che il mio nome aprisse le porte anche al tuo? Quanta parte della tua carriera – e lo dico con amarezza, non con vanità – è stata costruita nei contesti che io stesso ho creato, difeso e popolato? Non hai forse pubblicato a più riprese sotto la mia curatela, nei progetti che io stesso dirigevo, nei repertori e nei fascicoli che portavano la mia impronta? Non hai forse condiviso – beneficiandone – ogni singola rete accademica che io ho pazientemente intessuto in decenni di lavoro? E ora, con una virata codarda e irriconoscente, sputi nel piatto che ti ha nutrita, con una frase tanto sprezzante quanto storicamente falsa. Perché se davvero io fossi “dannoso” per l'immagine della papirologia italiana, allora tu ne saresti la prima beneficiaria perché la tua ascesa ha coinciso con la mia presenza. Non con la mia assenza. Quello che rende la tua condotta non solo ingiusta, ma profondamente meschina, è ciò che hai fatto – o meglio, non hai fatto – negli ultimi anni. Quando alcuni colleghi, con genuino affetto e riconoscenza, hanno proposto la curatela di un volume in mio onore, hai accettato inizialmente l’incarico. Hai dato il tuo nome, hai preso parte alle prime discussioni, hai persino lodato l’iniziativa. Ma quando hai fiutato che quell’omaggio avrebbe potuto scalfire la narrazione che avevi costruito su di me – quella del professore “scomodo”, “superato”, o peggio ancora, “dannoso” – hai abbandonato il progetto come una ladra nella notte. Senza spiegazioni. Senza dignità. Hai lasciato i colleghi da soli. Hai lasciato dietro di te solo l’eco della tua paura, paura che quel volume potesse ricordare al mondo accademico quanto ti sei nutrita della mia opera. Quanto devi a chi oggi rinneghi. E non è tutto. L’elenco delle tue meschinerie silenziose è lungo. Hai fatto della tua posizione accademica uno strumento di riscrittura selettiva della memoria disciplinare. Un’epurazione lenta, strisciante, vigliacca. Non di idee, ma di nomi. Il mio nome, in particolare. Eppure io non ti ho mai negato nulla. Né consigli, né lettere di presentazione, né spazi di ricerca. Ero lì quando nessuno ti conosceva. Ero lì quando la tua bibliografia si poteva contare sulle dita di una mano. Ero lì quando i tuoi stessi colleghi ti ignoravano. E ora che sei salita al trono, pretendi di cancellare chi ti ha costruito la scala? Non ti rimprovero di aver criticato – se mai fosse stato fatto con intelligenza – alcuni aspetti della mia produzione. Ti rimprovero l’ingratitudine. Ti rimprovero la viltà. Ti rimprovero l’ipocrisia. E soprattutto ti rimprovero il tentativo di riscrivere la storia per autoincoronarti regina di un mondo che ti ha solo accolto, non generato. Chi tradisce la verità, alla lunga, tradisce anche sé stesso. E la verità è questa: la papirologia italiana non ha mai avuto un nemico nel sottoscritto. Ma forse ne ha uno in te, che pretendi di far credere che sei arrivata dove sei per meriti solitari, e non grazie anche al lavoro, all’influenza, all’esistenza stessa di coloro che oggi vuoi cancellare. Concludo questo scritto con un pensiero che non è vendetta, ma ammonimento. L’accademia dimentica in fretta, ma i documenti restano. Le lettere restano. Le pubblicazioni restano. Le testimonianze restano. E soprattutto, restano gli allievi: quelli che sanno distinguere il valore dalla vanità, l’autorità dalla prepotenza, la fedeltà dalla convenienza.


  A loro lascio il compito di giudicare. Io, per parte mia, non dimentico.


    Rosario Pintaudi



(Pdf)





  


Inimicitia Papyrologorum (Introduzione)


  


  


  

 


 

 

 

 


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